Project Leader: MinD Mad in Design

Approfondimenti, casi studio, suggestioni e ricerche a cura del team MinD Mad in Design per esplorare il tema della sesta edizione.

Prendersi cura. Appunti e riflessioni.

| a cura di Elena Varini, psicologa, co-founder MinD |

Perché prendersi cura di sé, degli altri, degli spazi, delle relazioni, dell’assoluto, di tutto o solo di qualcosa?

Essere al mondo significa, anzitutto, prendersi cura delle cose e dell’ambiente, rendersene responsabili. Ho proposto una riflessione che potesse iniziare proprio da questa domanda ad alcuni pazienti seguiti dai servizi di salute mentale. Persone che stanno vivendo in gruppi appartamento o in alloggi assistiti, o che finalmente hanno raggiunto una loro autonomia abitativa.

Sinceramente non mi era chiara la direzione da prendere, trattandosi di un argomento così ampio e declinabile su infiniti aspetti. Pertanto, ho lasciato aperte la direzione e l’orientamento del pensiero, non ho sentito la necessità di dare particolari spiegazioni, né limiti concettuali o razionali, non ho aggiunto particolari per paura di indurre mie risposte, mie suggestioni e riflessioni sulla tematica.

Ho aspettato, ascoltato e osservato. Si cade spesso nell’errore di considerare il paziente psichiatrico incapace di valutare le cure ricevute o non totalmente in grado di far proprio il significato del concetto di “prendersi cura”. Nonostante la consapevolezza di alcuni pazienti sui propri problemi sia spesso parziale o imprecisa (Perkins e Moodley, 1993), il loro punto di vista per noi è sempre stato fondamentale per cogliere l’importanza delle interazioni tra utenti, luoghi di cura e servizi affinché i progetti terapeutici e riabilitativi trovino soluzioni e riscontri concreti.

Alcuni utenti (per lo più quelli che avevano già partecipato a MinD) sapevano perfettamente “dove volevo andare a parare”, altri, più inesperti, si sono dimostrati subito interessati all’argomento. In ogni caso il concetto di prendersi cura suscitava interesse. Un interesse legato alla propria persona, ma anche allo spazio e alla relazione tra “me e gli altri”, tra “me e ciò che c’è fuori”, tra ciò che c’è fuori e l’essere umano, tra un essere umano e l’altro, tra un “insieme di persone e me”.

E così via. L’elenco si faceva sempre più lungo. Si aggiungevano soprattutto azioni, processi, rituali. Pensieri e riflessioni legati all’essenza, alla libertà, alla trasformazione del “brutto” in bello, in qualcosa che potesse risultare una risorsa. Quasi come se si trattasse di magia. L’elenco si allargava man mano con una tale energia da sembrare azione. Atteggiamento positivo, costruzione, desiderio di continuare a costruire. Mantenere vive le sollecitazioni, le capacità di pensare, di agire e di vivere. A tratti dava l’idea di un “creare per non disperare”, un tentativo apparentemente nuovo, ma antico quanto l’umanità, di ritrovare le cose che abbiamo dimenticato. Di guardare in altro (tensione continua verso il cielo, desiderio di andare sempre più in alto), ma non dimenticarsi di guardare anche in basso (da dove abbiamo origine, la terra e la natura sono parti essenziali di noi).

La volontà di reinventare forme del vivere/sopravvivere quotidiano. Il prendersi cura stava poco per volta prendendo una FORMA. Possiamo parlare di forma della cura?

Forma come concretezza di un agire che trasforma dei valori, delle abitudini, dei meccanismi (non sempre “buoni”) in prassi, in modalità d’intervento, in indicazioni operative.

Cura intesa come interesse sollecito per le persone di cui ci occupiamo, considerate nella loro complessiva umanità.

Esiste un forte legame tra il fatto di trascurare il proprio aspetto fisico e la gravità di alcuni disturbi psicopatologici. Basti pensare che uno degli indicatori del peggioramento dello stato psicologico di molte persone è l’abbandono della cura dell’aspetto fisico. Durante la depressione, per esempio, è normale che si verifichi una generale perdita di interesse verso attività che prima erano ritenute piacevoli. Un’anedonia verso alcuni aspetti della vita, così come l’incapacità di godere di essa o di trovare degli stimoli. Non c’è da stupirsi se la capacità di guardarsi allo specchio e vedersi belli non rientri tra gli atteggiamenti delle persone depresse.

è la mia forma che non va?” (così come sono, come mi vedo, non vado bene)

Oggi non mi sento in forma, non posso partecipare all’attività!” (non sto bene, sono fuori forma)

Come faccio a prendermi cura di me se non vedo la mia forma?” (non ho la percezione del mio corpo)

Alcune abitudini, modi di fare, di pensare e agire diventano delle forme mentali dalle quali risulta difficile uscire. Delle gabbie, schemi comportamentali che ormai non vediamo neanche più. Alcuni schemi diventano funzionali, altri invece non ci fanno stare bene. 


SCENARI DI SENSO

Cosa è emerso: (argomenti espressi dagli utenti. Ho riportato le loro parole)

- Necessità di riscoprire il piacere di prendersi cura di sé: star bene con il proprio corpo; lavorare per avere tutti i requisiti, doti, qualità necessarie per star bene. Che aspetto ha la cura? Ha a che fare con il tempo, con la consapevolezza di cosa accade fuori (tempo che passa, stagioni) e dentro (fasi della vita, corpo che cambia, eventi che portano a cambiamenti, traumi)

- Abitudini quotidiane inerenti all’igiene personale: usare dei buoni prodotti, giuste quantità, poter usare autonomamente il rasoio; percezione sensoriale del profumo/odore, preoccuparci per la nostra igiene, per la fragranza che emaniamo o per l’armonia e la

bellezza del nostro corpo non è sintomo di superficialità, indica che vogliamo bene a noi

stessi; avere spazi più intimi e più tempo a disposizione per poter stare in bagno.

- Spazio e tempo di preparazione per poter svolgere qualcosa: prepararsi in modo adeguato, avere il tempo e la capacità di prepararsi nel modo giusto e sentirsi belli; provare ad uscire dal solito pensiero di “accettarsi”.

- Prevenzione: capire meglio come funzioniamo per poter poi provare a migliorare; nelle scelte (alimentari, relazionali, comportamentali) quotidiane, ma anche in quelle più a lunga durata.

- Prendersi cura della nostra stanza, della casa, del giardino per poter ospitare e ricevere qualcuno (come quando sei a casa). 

Una sfida di contesti, di ambienti, di luoghi, di spazi. Una sfida orientata a comprendere ciò che rende i rapporti umani inospitali e pericolosi.

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Costruire per guarire

| Michael Murphy, TEDTalks, 2016 |


Michael Murphy decise di studiare architettura quando suo padre, affetto da cancro terminale, riprese le forze costruendo casa insieme durante quelle che sarebbero dovute essere le sue ultime settimane di vita. Il mantra Costruire per Guarire, che ha accompagnato buona parte dei progetti di Michael, trova applicazione nel guarire non solo chi è malato, ma anche intere società ed anime


L’architettura è più che una disposizione intelligente dei mattoni. In questo discorso eloquente, Michael Murphy mostra come lui e il suo team sembrano ben oltre il progetto quando stanno progettando. Considerando i fattori che vanno dal flusso d’aria alla luce, il loro è un approccio olistico che produce edifici sia comunitari che belli. Ci accompagna in un tour di progetti in paesi come il Ruanda e Haiti, e rivela un piano commovente e ambizioso per Il Memoriale per la Pace e la Giustizia, che spera possa guarire i cuori nel sud americano.


• tutto il video qui

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I is an other

Leonie Barth racconta:


“I was always fascinated by the phenomenon of personal identity and in which context the outer appearance matters for our identity. At the beginning of my research I dealt with Jean Paul Sartre’s Huis Clos and with Jacques Lacan’s Mirror Stage, that discuss the awareness of our ego as a subject as well as an object. After my research, my key assumption was that identity does not exist without a visible surface and its reflection. “Mirroring” ourselves is imperative to construct our own identity. When I talk about “mirroring” I do not only mean a surface that reflects one’s image, I also want to convey that we need another person, our counterpart.

We can only become socialised personalities by observing and imitating - this is ‘mirroring’. The collection is inspired by Lacan’s philosophic thought and the idea that our mirror image completes our identity.”

I is another, Leonie Barth, 2014

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Utopia per realisti

|a cura di Giulia Sala, architetto e urban planner, PUSH |

«Questo libro non è un tentativo di prevedere il futuro. Questo libro è un tentativo di sbloccare il futuro». E per sbloccare il futuro, scrive Rutger Bregman, bisogna tornare alle utopie. Di fronte al ritorno dei nazionalismi, al divario sempre più ampio tra ricchi e poveri e allo stress che il carico di lavoro porta ogni giorno nelle nostre vite, siamo costretti a riconoscere che le nostre aspettative sullo sviluppo liberale della società occidentale si sono drammaticamente consumate, lasciandoci di fronte alla dura verità: senza utopie, tutto quello che resta è un presente senza orizzonte, il presente immobile e sterile della tecnocrazia. Ma quali sono le utopie di cui abbiamo bisogno per rilanciare la politica e trovare la strategia per una convivenza sostenibile? Secondo Bregman, è arrivato il tempo di ridurre consumi e ore di lavoro, di aprire i confini degli stati e combattere sul serio la povertà, di concedere a tutti un reddito minimo, sottraendolo alle vuote retoriche populiste che si stanno impadronendo del dibattito mediatico in tutto il mondo democratico.

Rutger Bregman, Utopia per realisti, 2017



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La poetica dello spazio

| a cura di Adelaide Testa, architetto, Studio Marcante Testa |

Nel 1957 Gaston Bachelard pubblica La poétique de l’espace. Nell’introdurre questo testo interamente dedicato alle immagini dello spazio felice, Bachelard si sofferma sull’importanza del contributo dell’immaginazione. Attraverso questa funzione, il filosofo mette in evidenza le caratteristiche della felicità come elementi conseguenziali alla novità posta dall’istantaneità. Possiamo constatare infatti, come la fenomenologia dello spazio, possa rivelarsi un approccio proficuo alla costituzione di una transoggettività dell’immagine. “Il nostro proposto, in effetti, è quello di esaminare immagini molto semplici, le immagini dello spazio felice. Da tale punto di vista, le nostre ricerche meriterebbero il nome di topofilia, in quanto esse colgono a determinare il valore umano degli spazi di possesso, degli spazi difesi contro forze avverse, degli spazi amati. Per ragioni spesso diverse e con le differenze che comportano le sfumature poetiche, si stratta di spazi lodati. Al loro valore protettivo, che può essere di segno positivo, si ricollegano anche valori immaginati e questi ultimi diventano ben presto valori dominanti. Lo spazio colto dall’immaginazione non può restare lo spazio indifferente, lasciato alla misura ed alla riflessione del geometra: esso è vissuto e lo è non solo nella sua possibilità ma con tutte le parzialità dell’immaginazione.



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Le Squadre